Storia

Giuseppe Pitrè

Giuseppe Pitrè

Giuseppe Pitrè (Palermo, 1841-Palermo,1916), fondatore del museo che oggi porta il suo nome, può essere considerato il padre della scienza folklorica in Italia perché diede alle ricerche non solo grande impulso, ma ordine, sistemazione, metodo. Gettò le basi teoriche di una nuova materia, che chiamò “demopsicologia”, cioè di una scienza del popolo che comprende assieme l’Antropologia e l’Etnologia, la psiche collettiva e quella individuale e la loro evoluzione storica con riguardo al territorio e all’ambiente.
Per lui fu istituita la cattedra di Demopsicologia nell’Università di Palermo, nella quale insegnò dal 1910 fino alla morte, avvenuta nel 1916. Era medico, e divise tutta la sua vita tra l’esercizio della professione e la grande passione per lo studio delle tradizioni popolari. Nacque nel 1841 in un quartiere popolare di Palermo e in una famiglia umile. Il padre, che morì quando lui era ancora bambino, era marinaio. Si laureò giovanissimo, a soli 24 anni, e nell’esercizio della professione medica si distinse per la particolare attenzione riservata agli umili, ai quali spesso si dedicava senza richiedere alcun compenso. 

Non rinnegò mai queste origini. Storia, lettere, filologia e lingue straniere furono tutte le materie oggetto dei suoi studi, i quali, tuttavia, finirono per rivolgersi principalmente al folklore. Il frutto dello studio e delle ricerche dell’intera sua vita è contenuto in un opera monumentale, la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, in 25 volumi, pubblicata tra il 1871 e il 1913, nella quale è da notare la concezione unitaria delle tradizioni popolari: dai canti, fiabe, novelle, proverbi, a feste, spettacoli, giochi fanciulleschi; dalla medicina popolare agli usi legati alla famiglia, casa, vita e alle forme d’arte. 

Proprio nella Avvertenza all’ultimo volume possiamo leggere: ”il tempo vola, ed il progresso, ogni dì incalzate, spazza istituzioni e costumi. La scomparsa è fatalmente necessaria nel corso degli eventi: onde urge che si fissi il ricordo di questa vita vissuta in migliaia d’anni da milioni e milioni di persone semplici (…).
Giuseppe Pitrè fu anche un appassionato collezionista di testimonianze della cultura popolare siciliana di fine ottocento.
Raccolse oltre 2000 oggetti, che furono dapprima esposti in mostre temporanee (citiamo l’esposizione universale svoltasi a Palermo nel 1891, cui partecipò con un padiglione etnografico), e che, donati alla sua morte al Comune di Palermo nel 1891 avrebbero formato successivamente le collezioni del Museo.

Giuseppe Cocchiara

Giuseppe Cocchiara

Giuseppe Cocchiara (Mistretta (Messina) 1904 - Palermo, 1965), antropologo, etnologo e studioso di tradizioni popolari, viene considerato “l’allievo ideale” del Pitrè e il continuatore dell’opera del Maestro. Si avvicina con interesse alla vasta eredità culturale lasciata dal demopsicologo, al quale si ispira nel coltivare uno sguardo olistico sull’universo delle tradizioni popolari, in un lungimirante progetto di valorizzazione dello studio sui materiali folclorici condotto dal Pitrè. Giunge a Palermo nel 1921 e si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza nella stessa università in cui il Pitrè aveva tenuto, fino al 1916, i suoi famosi corsi. Appena diciannovenne, pubblica il suo primo libro: Popolo e canti nella Sicilia d’oggi dedicato appunto alla memoria del Pitrè, nel quale programmaticamente manifesta l’intenzione di lavorare per raccogliere completare in forma sistematica e definitiva tutta la vasta casistica delle tradizioni popolari siciliane.

Nel 1927 si trasferisce a Firenze, dove entra in contatto con alcuni dei maggiori filologi e letterati dell’epoca e organizza, assieme a Paolo Toschi, il primo “Congresso nazionale delle tradizioni popolari.” Su consiglio di Raffaele Pettazoni si trasferisce quindi a Londra, per un soggiorno di studio che si protrae fino al 1932, durante il quale frequenta la rinomata Folklore Society. Ristabilitosi a Palermo, tenta con successo la carriera universitaria. Si deve al Cocchiara, l’ingresso ufficiale nell’università italiana, della materia che prende il nome inizialmente di “Letteratura delle tradizioni popolari”. Nel 1934, quando il Comune di Palermo decide di sistemare la vasta collezione donata dal Pitrè nella nuova sede, gli viene affidato l’incarico di curare l’allestimento del Museo intitolato al suo fondatore. I locali – le dipendenze della Casina alla Cinese – inseriti all’interno del parco della Favorita, gli sembrarono particolarmente adatti per un museo etnografico. In questi spazi può allestire le collezioni seguendo le tendenze della museografia più all’avanguardia dell’epoca, prendendo a modello esempi europei, quali lo Skansen di Stoccolma, di Arthur Hazelius, antenato degli attuali ecomusei francesi, in cui si afferma il nuovo ruolo del museo al servizio della città. 
Infatti ne “La vita e l’arte del popolo siciliano nel Museo Pitrè, così scrive: “Un Museo, oggi, può essere e rimanere vivo soltanto se rispecchia l’anima del proprio tempo e risponde ai problemi della propria epoca”. Un Museo (…) deve servire all’uomo e alle sue esigenze spirituali. Non si ordina nelle sale ma “nella mente del visitatore.” Alla funzione conservativa Cocchiara contrappone piuttosto la funzione formativa del Museo inteso come scuola, come seminario di studi, in tal modo anticipando quanto successivamente sarebbe stato realizzato nel settore della museografia etnoantropologica e rifondando così uno dei musei più importanti d’Europa, che dirigerà fino al 1965, anno della sua morte.